Inferno (Canto V)
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Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ’ cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. 72
I’ cominciai: "Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri". 75
Ed elli a me: "Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno". 78
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: "O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!". 81
Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate; 84
cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido. 87
"O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 90
se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’ hai pietà del nostro mal perverso. 93
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ’l vento, come fa, ci tace. 96
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui. 99
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. 102
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona. 105
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte. 108
Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ’l poeta mi disse: "Che pense?". 111
Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!". 114
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio. 117
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?". 120
E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. 123
Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice. 126
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto. 129
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse. 132
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso, 135
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante". 138
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse. 141
E caddi come corpo morto cade.
Dante Alighieri
Tanto gentile e tanto onesta pare
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sententosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.
Dante Alighieri
Guido, i' vorrei che tu e Lapo e io
Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch'ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse 'l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch'è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:
e quivi ragionar sempre d'amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i' credo che saremmo noi.
Dante Alighieri
Roberto Benigni legge il V dell'inferno
Purgatorio (Canto V)
Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
si compia che ti tragge a l'alto monte,
con buona pietate aiuta il mio!
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
Giovanna o altri non ha di me cura;
per ch'io vo tra costor con bassa fronte».
E io a lui: «Qual forza o qual ventura
ti traviò sì fuor di Campaldino,
che non si seppe mai tua sepultura?».
«Oh!», rispuos'elli, «a piè del Casentino
traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano,
che sovra l'Ermo nasce in Apennino.
Là 've 'l vocabol suo diventa vano,
arriva' io forato ne la gola,
fuggendo a piede e sanguinando il piano.
Quivi perdei la vista e la parola
nel nome di Maria fini', e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.
Io dirò vero e tu 'l ridì tra' vivi:
l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?
Tu te ne porti di costui l'etterno
per una lagrimetta che 'l mi toglie;
ma io farò de l'altro altro governo!".
Ben sai come ne l'aere si raccoglie
quell'umido vapor che in acqua riede,
tosto che sale dove 'l freddo il coglie.
Giunse quel mal voler che pur mal chiede
con lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l vento
per la virtù che sua natura diede.
Indi la valle, come 'l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento,
sì che 'l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde e a' fossati venne
di lei ciò che la terra non sofferse;
e come ai rivi grandi si convenne,
ver' lo fiume real tanto veloce
si ruinò, che nulla la ritenne.
Lo corpo mio gelato in su la foce
trovò l'Archian rubesto; e quel sospinse
ne l'Arno, e sciolse al mio petto la croce
ch'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse;
voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
poi di sua preda mi coperse e cinse».
«Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via»,
seguitò 'l terzo spirito al secondo,
«ricorditi di me, che son la Pia:
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che 'nnanellata pria
disposando m'avea con la sua gemma».
Dante
Alighieri
Paradiso (canto XXXIII)
«Vergine Madre, figlia del tuo
figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio, 3
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura. 6
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore. 9
Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace. 12
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ ali. 15
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre. 18
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate. 21
Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una, 24
supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute. 27
E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi, 30
perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. 33
Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi. 36
Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!». 39
Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne l’orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati; 42
indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
nel qual non si dee creder che s’invii
per creatura l’occhio tanto chiaro. 45
E io ch’al fine di tutt’ i disii
appropinquava, sì com’ io dovea,
l’ardor del desiderio in me finii. 48
Bernardo m’accennava, e sorridea,
perch’ io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea: 51
ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio
de l’alta luce che da sé è vera. 54
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio. 57
Qual è colüi che sognando vede,
che dopo ’l sogno la passione impressa
rimane, e l’altro a la mente non riede, 60
cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visïone, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa. 63
Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla. 66
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A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa, 144
l’amor che move il sole e l’altre stelle.
Dante Alighieri