Benvenuta

  

Il profilo di questa giovane extracomunitaria, rubato su un autobus cittadino, per dire benvenuta a lei, insieme a tutti quelli e quelle come lei. E per dire benvenuti a tutti.

Per trasmettere affetto.

Per significare fratellanza.

Cantami o Diva...

Le mie poesie preferite. Quelle che non mi stanco mai di leggere da più di cinquant'anni. Che non mi stancheranno mai perché parlano al mio cuore. Quelle che mi emozionano. E poi, le poesie che ho scritto io. Se qualcuno avrà voglia di leggerle ne sarò felice. Non mi aspetto commenti e nemmeno li desidero. Mi basterà la vostra attenzione per qualche minuto.

In ogni caso, grazie.

I miei poeti preferiti? Sono tanti, così tanti da rendere difficoltosa un'elencazione.  Eccone soltanto alcuni, i primi che alla rinfusa mi vengono in mente:  

 

Giacomo Leopardi, Pablo Neruda, Salvatore Quasimodo, Charles Baudelaire, Charles Bukowski, Edgar Lee Masters, Dante Alighieri, Saffo, Giorgos Seferis, Jacques Prévert, Nazim Hikmet, Giuseppe Ungaretti, Dino Campana, François Villon, William Shakespeare, Emily Dickinson, Costantino Kavafis, Raymond Carver, Anna Achmatova, Marina Cvetaeva, Gaio Valerio Catullo, eccetera, eccetera, eccetera…

Questa foto, l'ho scattata una domenica mattina a Villa Borghese. La trovo tenerissima. Una piccola, semplice, struggente poesia. Ed ecco alcune delle mie, di poesie, scritte nello sperpero degli anni...

           Il mio Blog

          I miei Haiku

                  Haiku

Haiku  2                    Haiku  3

Haiku  4                    Haiku  5

                   Inferno (Canto V)

 

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Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ’ cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. 72

I’ cominciai: "Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri". 75

Ed elli a me: "Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno". 78

Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: "O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!". 81

Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate; 84

cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido. 87

"O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 90

se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’ hai pietà del nostro mal perverso. 93

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ’l vento, come fa, ci tace. 96

Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui. 99

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. 102

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona. 105

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense
".
Queste parole da lor ci fuor porte. 108

Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ’l poeta mi disse: "Che pense?". 111

Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!". 114

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio. 117

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?". 120

E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
123

Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice. 126

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto. 129

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse. 132

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso, 135

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante". 138

Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse. 141

E caddi come corpo morto cade. 

 

                                      Dante Alighieri

 

      Tanto gentile e tanto onesta pare

 

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Ella si va, sententosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.

 

                                    Dante Alighieri

 

       Guido, i' vorrei che tu e Lapo e io

 

Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch'ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse 'l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch'è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d'amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i' credo che saremmo noi.


                                        Dante Alighieri

  Roberto Benigni legge il V dell'inferno

                 Purgatorio (Canto V)

 

 Poi disse un altro: «Deh, se quel disio 
si compia che ti tragge a l'alto monte, 
con buona pietate aiuta il mio! 
      Io fui di Montefeltro, io son Bonconte; 
Giovanna o altri non ha di me cura; 
per ch'io vo tra costor con bassa fronte». 
      E io a lui: «Qual forza o qual ventura 
ti traviò sì fuor di Campaldino, 
che non si seppe mai tua sepultura?». 
      «Oh!», rispuos'elli, «a piè del Casentino 
traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano, 
che sovra l'Ermo nasce in Apennino. 
      Là 've 'l vocabol suo diventa vano, 
arriva' io forato ne la gola, 
fuggendo a piede e sanguinando il piano. 
      Quivi perdei la vista e la parola 
nel nome di Maria fini', e quivi 
caddi, e rimase la mia carne sola. 
      Io dirò vero e tu 'l ridì tra' vivi: 
l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno 
gridava: "O tu del ciel, perché mi privi? 
      Tu te ne porti di costui l'etterno 
per una lagrimetta che 'l mi toglie; 
ma io farò de l'altro altro governo!". 
      Ben sai come ne l'aere si raccoglie 
quell'umido vapor che in acqua riede, 
tosto che sale dove 'l freddo il coglie. 
      Giunse quel mal voler che pur mal chiede 
con lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l vento 
per la virtù che sua natura diede. 
      Indi la valle, come 'l dì fu spento, 
da Pratomagno al gran giogo coperse 
di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento, 
      sì che 'l pregno aere in acqua si converse; 
la pioggia cadde e a' fossati venne 
di lei ciò che la terra non sofferse; 
      e come ai rivi grandi si convenne, 
ver' lo fiume real tanto veloce 
si ruinò, che nulla la ritenne. 
      Lo corpo mio gelato in su la foce 
trovò l'Archian rubesto; e quel sospinse 
ne l'Arno, e sciolse al mio petto la croce 
      ch'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse; 
voltòmmi per le ripe e per lo fondo, 
poi di sua preda mi coperse e cinse». 
      «Deh, quando tu sarai tornato al mondo, 
e riposato de la lunga via», 
seguitò 'l terzo spirito al secondo, 
      «ricorditi di me, che son la Pia: 
Siena mi fé, disfecemi Maremma: 
salsi colui che 'nnanellata pria 
      disposando m'avea con la sua gemma».


                                             Dante Alighieri



                 Paradiso  (canto XXXIII)


«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio, 3

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
6

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore. 9

Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace. 12

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ ali. 15

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre. 18

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate. 21

Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una, 24

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute. 27

E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi, 30

perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. 33

Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi. 36

Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!». 39

Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne l’orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati; 42

indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
nel qual non si dee creder che s’invii
per creatura l’occhio tanto chiaro. 45

E io ch’al fine di tutt’ i disii
appropinquava, sì com’ io dovea,
l’ardor del desiderio in me finii. 48

Bernardo m’accennava, e sorridea,
perch’ io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea: 51

ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio
de l’alta luce che da sé è vera. 54

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio. 57

Qual è colüi che sognando vede,
che dopo ’l sogno la passione impressa
rimane, e l’altro a la mente non riede, 60

cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visïone, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa. 63

Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla. 66

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A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa, 144

l’amor che move il sole e l’altre stelle.


                                             Dante Alighieri