Dittico
Quando ti abbracciai
nel bosco dei castagni
i tuoi seni erano anguille
e tenaglie le tue mani.
Quando tornammo
nel bosco dei castagni
i tuoi seni erano gonfi
e deliravano le tue mani.
Oggi mi riconduci
nel bosco dei castagni
ma i tuoi seni sono stanchi
e disilluse le tue mani.
Padroni di un'alba
Il cielo soffonde d'arancio
il tuo volto spossato,
mentre in quiete riposi
il vento bisbiglia una fiaba
all'orecchio del sole bambino.
Parigi, primo giorno
Una camera d'albergo
dalle serrande incastrate
la valigia vuotata
alla rinfusa
abiti gualciti
ammucchiati sulla sedia
una forma scura
nel letto disfatto
odore di cattivo tabacco
e la tua fotografia
che ho dimenticato.
La morte del baro
Ero assai ricco all'arrivo,
ma la sosta è stata breve
più del previsto.
Ho pagato un nichelino per le valige,
ne ho speso un altro per il giornale
e due per l'acqua e limone.
Mentre uscivo dalla stazione
ho visto una ragazza dimessa
piangere contro una cabina telefonica,
così le ho dato dei nichelini
per rifornirsi di gettoni.
Poi, sulla porta, contro un cielo
di cristallo terso, ho fatto l'elemosina
ad una vecchia cantilenante.
E' stato quello l'errore,
non accorgermi di darle
la moneta a due teste
che adoperavo al gioco.
E quella la gettò in aria gridando:
croce si resta, testa si parte.
Due giorni di permesso
Il gusto di latte crudo mi prepara
al mattino dei sogni dissepolti;
già si spargono i pulcini sotto la stia,
il cane che mugola ha le orecchie basse
come il giorno in cui si spense
qualcosa di te, vecchio mio,
e gli alberi fischiavano oltre le chiare
nebbie che fingevi di dimenticare. Di colpo
lascio la pompa e rientro in casa
quindi il mattino corre via se ne va
trascinando stalagmiti di anni:
oggi mia madre tirerà fuori la clessidra
perché tempo e sabbia rodano presto
il crocicchio, e poi si giunga
in fretta all'ultimo tonfo.
Amaro d'olio fritto e briciole
di ciambelle sul volto, questo
mi accompagna per lo stretto sentiero
che mena al camposanto; là,
dietro la svolta dei ciliegi
s'inarca un cielo nervoso e impuro.
Solo un attimo sosto, che già
cadono secche gocce di pioggia.
Ieri, oggi, domani
L'ultima volta che da lei ebbi frasi
gentili le celai nella cantina
del cuore, ove pongo anche le briciole
dei rari conviti che ci toccano,
poi ci furono giostre ed equinozi
poi rivoluzioni - io sempre più spesso
a frugare nel mio avaro stanzino -
e il rotolio delle mute stagioni,
ieri interrotto di fronte al lavabo,
mi hai detto piangendo non ho più
niente, non ho mai avuto niente,
io ho di nuovo aperto il ripostiglio
attento a non perdere una lacrima,
pensavo: forse non piange solo di sé.
Vent'anni dopo
Ma portarti nel cuore non mi basta,
vorrei indossarti come una mantella
squillante, come un azzurro aquilone,
tenerti come una morbida sacca
colma di ciò che sai possa servire
né d'altro avrei più continuo bisogno.
Tutto il tempo parlo con te e sorrido,
ma portarti nel cuore non mi basta,
vorrei di te ricoprirmi, appuntarti
rara fresca coccarda nell'occhiello:
il nervoso glicine delle tue iridi
placato forse più spesso s'allieterebbe.
Cantata triste cantata bruna
Cantata triste che perduri
nella scia del vento illanguidito
alle mie spalle, tu sola mi accompagni:
non più l'ombra incerta del gazebo
nei pomeriggi assolati, non più
il brusìo melodioso dell'arancio selvatico,
svaniti ormai i rampicanti sui muri
e le cene con poca luce
le asfissianti sere d'estate.
Cantata bruna che mi accompagni
a dileguare per nuove strade
per poco puoi seguirmi ancora:
l'angolo mi risucchia, il vento
alle mie spalle si chiude
e volge altrove.
Anniversario
Come si sono sbiancate
le tue mani sul lavabo
oggi che con i capelli arruffati
senza cipria né rossetto
con la vestaglia stinta
m'hai sorpreso ad entrare
con un fascio di rose.
Riconciliazione
Veniva scendendo il ponte
e il giorno nacque sorpreso
acqua chiara che s'immerge
nel sale. Poi l'ebbi vicina
ma i suoi occhi erano li
recise di fresco.
Dittico
Quando mi abbracciasti
nel bosco dei castagni
non ebbi paura
delle tue mani gentili.
Quando tornammo
nel bosco dei castagni
gioii liberamente
delle tue mani appassionate.
Oggi mi riconduci
nel bosco dei castagni
ma tra poco starò piangendo
delle tua mani distratte.
Spiegazione
Ciò che increspa la punta delle dita.
Quello che palpita dentro quando canti.
Quello che ci scava la nicchia nel petto.
Ciò che geme nei nostri sogni.
Ciò che brilla nella pioggia quando la guardi.
Quello che ride nel nostro volto allo specchio.
Amore, niente altro che amore.
Parabola del pesce e del camaleonte
(guarda come la trota
accumula esperienza
giocando ad eludere l'esca)
il mio cuore è un melograno
che nessuno vuole aprire,
c'è un cartello spezzato
al crocicchio delle idee.
Dovrò scegliere una pelle
fra tante che asciugano al sole
o avrà la forza qualcuno
di fare un cenno con il dito?
Sono la luce gialla
che spacca la testa degli amici
pronti a spiccare il balzo
sui denti del mio sorriso
e rotolare parole spesse
come gomene d'attracco,
non sempre al punto in cui
l'occhio sa rispettare il cuore.
Io ignoro se sono solo
o mi modellano un incastro
copiandomi allo specchio
ma so che il vento passando
deruba i girasoli e
piano piano mi spengo.
E' il momento in cui lo sguardo
si fà lama di coltello, quando
i vecchi sciolgono i fianchi
e i giovani rigenerano al sole,
l'attimo che capovolge il pensiero.
Ora sono il fischio leggero
che incanta il tordo per farlo cieco
e lancia il cane senza una meta.
Sono il colibrì del sud,
menestrello di sabbia fine.
Sono il bambino che succhia
un cristallo di menta,
l'alga quieta sotto il pontile,
una lingua di carta azzurra,
la sirena che ghiacciava mio padre.
Non conosco chi mi è vicino
più di quanto conosca il mare
che canta canta, non tace mai
e non sai che racconta
(posso parlare in rima
ché sono un'onda)
io so fare ogni cosa
e servire chiunque.
Io so essere tutto
sono l'aloe ed il miele
son l'alba e il tramonto...
(guarda come balla la trota
che il pescatore ha stanato)
il vento s'è stancato dei girasoli,
ora corre a umiliare la canna.
Ed io, ho paura d'aver capito.
Jeandocardi si esibisce sotto i portici di Place des Vosges, Paris
(www.Jeandocardi.com)
L'abaco
Questa la privata escussione di te
da svolgere oggi: staccare l'abaco
appeso nei dintorni del cuore,
spiccare una sfera per ogni incontro
rinato alla mente, di ieri o di oggi;
esser lenti per non rischiare il conto
nel numerare gli slanci accumulati
e gli affanni, gli intrighi e gli incendi:
labbra non sfiorate, occhi rifiutati,
seni e golfi lambiti e non solcati,
eppure blandi e giusti la musica e
il giro del vento, e perfetta la luce,
dunque chiedersi il perché (il peggio
è saperlo), esitanti le dita se separare
o meno un'altra pallina di lucido ebano,
quelle ore poi se conteggiarle,
infine se il bilancio non sia per caso
già concluso. Questa l'escussione, sì,
questa l'alea da correre: oggi,
rammenta, ché il tempo non torna.
Benché fosse impossibile restare
Frustati i cavalli aggredimmo l'ovest
quasi fosse questione d'altre mete,
pure ancora ci gravava il bagaglio
né capimmo di poterne fare senza
né come ci facesse da timone,
noi non godemmo d'ancore o tramonti,
sempre fradici per pioggia e per melma,
gli scabri volti tendendo al limite
estremo dello sguardo, abbacinati e cupi,
non udendo invocazioni né richiami,
gli scabri duri volti tesi sempre meno
al filo di un orizzonte che non progrediva,
fino a trovarci di nuovo alla stazione
ribollenti di sudore, gli scabri volti
tesi ora dentro di noi, le fruste molli;
benché fosse impossibile restare
nessuno osò proporre altri sentieri,
quel che avevamo visto era presagio
di infinite rincorse circolari.