Svelti, insegnatemi quel sorriso
Svelti, insegnatemi quel sorriso
che renderà le sue gambe di miele,
modulate il tono della mia voce
a farla gentile, svelti, correggete
i miei gesti poi anche lo sguardo,
consigliatemi che fiori e il colore
e che frequenza dare al respiro,
svelti, che già sta partendo
su un lungo treno ringhiante,
sta partendo da me.
Favole nuove
Mi dicono d'aver di te smarrito
l'aspro sorriso che ti rese loro
ambigua, e china sul davanzale
affidavi cotone alle rondini,
mi dicono d'aver in te desunto
un'inquieta rude forma di pace
e qualche ebbro sospiro
nell'aspergere i gerani, offerta
ben più copiosa di te oltre
la consuetudine antica che credevo,
errando, stratificata: come poi
sempre mi accadde le volte
in cui un'incauta interpretazione
mi spinse ad essere a te antagonista.
Quindi davvero oggi non so
cosa fare, oggi che tutti gli amici
mi raccontano di te favole nuove.
I miei pensieri di oggi
Tenterei di seppellirli questi pensieri
se avessi nevi che non sciolgono,
o anche porli oltre l'arco di confini
che non sapessi poi più valicare: e
sarei secco e sciolto, nervoso
come un fumante puledro arabo
all'alba, e vuoto, come le canne
immerse nel lago frustato dal vento;
eretto, altrettanto vigile e solitario,
orfano dei pensieri che ora m'assediano,
m'incalzano tendendo avidi artigli
a snidare il grumo così ben protetto,
calato dove anche io ho dimenticato,
dove non devo ricordare. Non voglio
restare solo con i miei pensieri di oggi.
Non pensavo, davvero non pensavo
Non pensavo, davvero non pensavo
che la fiamma d'una cerea candela
spandesse luci perfino eccessive,
troppo vividi rendesse i cristalli d Praga
i tetti nel dolce vento di Amsterdam
e i rossi legni inglesi nella penombra;
troppo incisi i tuoi occhi dietro il vetro
e lacerante la musica che amavo,
troppo intimo il libro che sto leggendo,
invitanti e caldi oltre il limite
i bruniti brividi del revolver:
insopportabile si rivela l'ansiosa
conta dei minuti, il rombo del sangue,
e so che ora dovrei spegnere
senza indugi la spietata metafora,
eppure tremo nel soffiarci sopra
ché poi il buio sarà definitivo.
Per chi ci aveva lasciati partire
All'alba la partenza nel vento scabro
fiondato dai monti violetti,
cuore in tumulto come per paura
occhi freschi spazzati d'ogni sonno
nelle gambe un trapestio di foga,
d'amore, nostalgia d'acque spumose,
di vascelli azzurrini nella nebbia,
nostalgia di torride stelle inseguite
con telescopi d'ottone e legno,
e sopra a tutto desiderio di neve
sul mare, di fiori di ghiaccio rovente,
d'algide incontaminate purezze:
poi davanti ci si aprì forse Kalevala,
le sue rocce, le sue aeree betulle e
il tenue arancio della nuova aurora;
noi vi entrammo lasciandoci alle spalle
uno spazio ormai non più valicabile,
per chi ci aveva lasciti partire
noi restammo scolpiti all'orizzonte.
Su di me calate ridendo forte
Ridetemi contro, mentre sbocciate
dagli arsi ghiacciai delle comete
scuotendo i petti implumi di fringuello
delicati rari asfodeli offrendo
nei vostri duri becchi levigati
come le preziose selci degli avi,
quando le nebbie non risorgevano
stando perenni, silenziosi azzurri
laghi di quiete solcati dai falchi
appena dopo il colorìo dell'alba,
su di me calate ridendo forte
fiaccatemi lo scheletro d'abbracci
finché dissolva, poi fugga il respiro.